Per parlare di sviluppo delle competenze richieste dal mercato del lavoro, occupabilità dei giovani e parità di genere abbiamo incontrato Stefania Negri, ricercatrice Adapt, Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali. Tra gli ambiti di indagine di Negri rientrano la costruzione sociale dei mercati del lavoro, le relazioni industriali, la sociologia delle professioni, la formazione continua, l’occupazione giovanile e la parità di genere.
Negri ha posto l’accento, in particolare, sulle trasformazioni che stanno determinando un cambio di paradigma nel mercato del lavoro, sui dati dell’occupazione giovanile, sul mismatch di competenze e sull’azione svolta dai fondi interprofessionali, offrendo diversi spunti di riflessione.
Quali tendenze stanno emergendo nel mercato del lavoro con riferimento alle competenze più richieste?
Dai confronti diretti con le aziende, i lavoratori e i loro rappresentanti emerge che le competenze sono sempre più al centro dei processi di selezione, attrazione e formazione delle risorse umane. Come testimoniato anche dalla attenzione rivolta al tema delle competenze nelle politiche comunitarie e nazionali, con l’annuncio del 2023 come “anno europeo delle competenze”, a vari livelli sono stati avviati investimenti e misure volte a potenziare le competenze necessarie a modernizzare e rendere maggiormente competitivo il tessuto produttivo. I mercati del lavoro, così come la stessa società, sono sempre più interessati da ingenti trasformazioni che impongono nuove modalità di gestione, organizzazione e implementazione del lavoro, nonché una revisione dei contenuti e delle mansioni di molte figure professionali. Invero, in concomitanza degli effetti della transizione verde, della quarta rivoluzione industriale, degli impatti demografici nonché degli strascichi della pandemia da covid-19 e della crisi finanziaria, le aziende richiedono competenze nuove, aggiornate e in parte totalmente differenti da quelle del passato. Tra le competenze maggiormente richieste e formate troviamo sicuramente quelle connesse alla transizione digitale. Nel dettaglio quelle legate alla cyber security, alle soluzioni cloud e ai big data. Anche il bisogno di competenze digitali di tipo soft è stato accelerato dal ricorso massivo e improvviso allo smart working, che ha indotto alla digitalizzazione di alcune mansioni e procedure: si pensi alla nuova gestione di documenti in cloud, all’utilizzo di software per la gestione dei processi e delle persone, nonché alle nuove modalità di monitoraggio delle attività. Un ruolo di primo piano è ricoperto anche dalle competenze trasversali come: lavorare in gruppo, lavorare per obiettivi, comprendere l’assegnazione di un compito, relazionarsi e interagire con gli altri e saper attivare strategie finalizzate al conseguimento di obiettivi specifici.
Guardando, in particolare, all’occupabilità dei giovani quale quadro emerge?
Osservando il tema dal punto di vista quantitativo, secondo i più recenti dati Istat, nel 2023 l’incidenza dei Neet (giovani non occupati e non in istruzione e formazione) di 15-34 anni è in diminuzione rispetto agli anni precedenti, sia per i maschi sia per le femmine. L’incidenza di femmine Neet è infatti del 21,8% nel 2023, rispetto al 28,6% del 2018. L’incidenza maschile è invece del 14,5% nel 2023, inferiore di 6,3 punti percentuali rispetto al 2018. Tale diminuzione si registra su tutto il suolo nazionale, seppur le percentuali non siano omogenee e rilevano una maggiore incidenza di Neet nelle regioni meridionali. Infatti, nel 2023 l’incidenza dei giovani Neet di 15-34 anni è dell’11,7% al nord, del 13,6% al centro e del 28,4% al sud (Fonte Giovani.Stat). Nel 2023 è la Sicilia a registrare la più alta percentuale di Neet (32,2%) seguita dalla Campania (31,2%) e dalla Calabria (30,3%). Le percentuali più basse si osservano invece in Trentino-Alto Adige (10,1%), Valle d’Aosta (10,5%) e Veneto (11,3%). Nel 2023 il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è in crescita rispetto al 2022 (45% contro il 43,7%) ma ancora inferiore a quanto registrato nel 2008 (50,3%). È risaputo che le transizioni scuola-lavoro in Italia richiedono dei tempi superiori rispetto a quanto accade nel resto d’Europa. In generale si verifica ancora una difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro in parte connessa al tema delle competenze. Per operare all’interno dei moderni contesti di lavoro sono infatti necessarie sia competenze scientifiche e tecnico-professionali sia competenze di tipo relazionale e/o socio-emotivo. Sono proprio queste ultime che spesso le aziende faticano a trovare nei giovani al primo ingresso nel mercato del lavoro. Una possibile soluzione per facilitare le transizioni giovanili tra la scuola e lavoro potrebbe risiedere nel potenziamento del dialogo tra il mondo dell’istruzione e i contesti di lavoro. È stato infatti osservato che nei Paesi in cui i giovani possono alternare periodi di studio in aula ed esperienze in reali contesti di lavoro essi acquisiscono sia competenze teoriche-professionali che pratiche-relazionali che aumentano poi il loro livello di occupabilità e adattabilità ai moderni contesti produttivi.
Come può contribuire la formazione continua allo sviluppo della responsabilità sociale d’impresa e alla cultura di parità di genere?
Nel nostro Paese occorre sensibilizzare le aziende e i lavoratori sui temi della responsabilità sociale d’impresa e sulla parità di genere. Ancora oggi questi aspetti vengono trattati in maniera marginale e residuale e non rappresentano la priorità dei processi di gestione. Attività di formazione su queste tematiche dovrebbero essere organizzate per imprenditori, professionisti, responsabili delle risorse umane e dipendenti. I più recenti rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro hanno previsto uno spazio prioritario alla formazione sulla parità di genere, talvolta anche richiamando esplicitamente il ruolo che i fondi interprofessionali potrebbero ricoprire sul punto. Secondo il rapporto Inapp 2023 i fondi interprofessionali hanno finanziato oltre 1900 piani formativi, dedicati alle tematiche della responsabilità sociale d’impresa, coinvolgendo quasi 12 mila imprese e 86 mila lavoratori.
Guardando ai Fondi interprofessionali e, nello specifico, a Fondoprofessioni, quali trend sta osservando nell’ambito della formazione finanziata?
I fondi interprofessionali, a partire dalla loro costituzione, stanno ricoprendo un ruolo di primo piano nell’ambito della formazione continua e registrano tassi di adesione da parte delle aziende in costante crescita. A partire dai differenti canali di finanziamento, i fondi stanno pubblicando avvisi i cui contenuti rispondono ai nuovi bisogni ed esigenze delle aziende. Per esempio Fondoprofessioni ha pubblicato avvisi finalizzati a finanziare piani formativi riguardanti: i processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica, innovazione organizzativa, di servizio e di processo, la transizione verde e la salvaguardia ambientale, lo sviluppo dell’internazionalizzazione, le tecniche e azioni di marketing, la responsabilità sociale d’impresa e la sostenibilità ESG, la cultura aziendale rispetto alla parità di genere e all’inclusione e la formazione specifica dei singoli settori professionali (contabile, fiscale, lavoristica, legale, sanitaria). Il fondo presta anche una attenzione sempre maggiore alla qualità della formazione erogata, richiedendo di presentare informazioni esplicite relativamente alla definizione degli obiettivi di apprendimento, alla valutazione finale del conseguimento degli obiettivi di apprendimento, alla attestazione trasparente e spendibile degli apprendimenti acquisiti, nonché rilevazioni campionarie sui risultati e gli effetti della formazione. Anche l’accreditamento al fondo da parte degli enti di formazione garantisce una maggiore qualità della formazione erogata.
Quali nuovi contributi auspica possano arrivare dai Fondi interprofessionali nei prossimi anni?
Considerata l’importanza crescente delle competenze e della formazione, i fondi interprofessionali potranno giocare un ruolo importante nei processi formativi. Una partita interessante riguarderà sicuramente tutte le attività che i fondi potranno fornire nell’ambito dei servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze acquisite dai lavoratori all’esito dei percorsi di formazione finanziati. I fondi possono inoltre svolgere maggiori azioni volte a diffondere una consapevolezza delle potenzialità della formazione sia per i lavoratori che le aziende.