La formazione continua alla prova del lavoro e delle competenze

Rapporto tra formazione continua e mondo del lavoro, training nelle micro-imprese, progettazione per competenze e messa in trasparenza degli apprendimenti. Di questi e di altri importanti temi abbiamo parlato con due docenti del dipartimento di Scienze della Formazione presso l’Università Roma Tre. Si tratta di Fabiola Lamberti, docente di diritto del lavoro e sviluppo delle risorse umane, e di Cinzia Angelini, professoressa ordinaria di pedagogia sperimentale e coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua.

L’intervista rappresenta una sorta di anticipazione. Infatti, Fabiola Lamberti interverrà quale relatrice in occasione del convegno “Sviluppo delle competenze e misurazione dei risultati della formazione. Buone pratiche e casi di studio in Fondoprofessioni”, che si terrà il 14 novembre 2024, dalle ore 10.30 alle 14, presso il Museo Nazionale Romano nella sede di Palazzo Massimo.

Abbiamo posto le prime due domande a Fabiola Lamberti, mentre le successive due sono state rivolte a Cinzia Angelini.

Professoressa Lamberti, ci parli del rapporto che esiste oggi tra lavoro e formazione continua, anche sotto il profilo del diritto e della contrattazione.

Il mondo del lavoro è soggetto a un’evoluzione rapida e costante, caratterizzata da innovazioni tecnologiche, globalizzazione e cambiamenti nei modelli organizzativi. In questo contesto, la formazione continua emerge come elemento cruciale per garantire la competitività delle imprese, migliorare la qualità del lavoro e favorire lo sviluppo personale e professionale dei lavoratori in modo funzionale alle nuove necessità del mercato del lavoro.

Sul tema si è già sviluppata un’adeguata consapevolezza degli agenti istituzionali, anche internazionali. Si consideri che il Libro bianco sull’Intelligenza Artificiale pone tra le sue priorità l’esigenza di migliorare il livello delle competenze dei lavoratori per prepararli alla trasformazione guidata dall’IA e identifica il coinvolgimento delle parti sociali come un fattore cruciale per garantire un approccio antropocentrico all’AI sul lavoro. Anche l’Accordo quadro sulla digitalizzazione richiama l’attenzione sulla necessità di organizzare la formazione per l’aggiornamento e la riqualificazione del personale, partendo da una verifica del fabbisogno di nuove competenze, declinato in relazione alle transizioni verde e digitale. A livello unionale, peraltro, nel 2023 è stato proclamato l’Anno europeo delle competenze che ha individuato proprio nelle competenze una delle risorse su cui puntare per promuovere la competitività delle imprese, il pieno sviluppo delle persone e una migliore occupabilità globale. Complessivamente, si tratta di interventi che mettono al centro la necessità di implementare azioni di formazione continua e permanente nelle sue diverse forme – riqualificazione delle competenze, riconversione della professionalità, aggiornamento aziendale, intervento pubblico – in modo da adattare le competenze della forza lavoro alle mutate richieste e alle nuove configurazioni del mercato.

La percezione del valore chiave della formazione all’interno del rapporto di lavoro come forma di tutela del lavoro di nuova generazione, come investimento per la competitività aziendale e come risorsa negoziale sta progressivamente maturando, sia in ambito privato che pubblico, sancendo un importante cambio di paradigma che trasforma la formazione da questione individuale a questione collettiva e, per alcuni versi, sociale. È fondamentale in tale ambito il ruolo dell’autonomia collettiva che assume una funzione di primaria importanza per innervare, nei lavoratori e nelle imprese, l’idea di una formazione come valore condiviso e non come una mera partita di scambio nella logica diritto/dovere. L’introduzione del diritto alla formazione come “diritto soggettivo” del lavoratore è pacificamente ascrivibile al CCNL per i lavoratori addetti all’industria metalmeccanica privata e all’installazione di impianti, sottoscritto il 26 novembre 2016 da Federmeccanica e Assistal per parte datoriale e da Fim, Fiom, Uilm, per parte sindacale. Il CCNL dei meccanici si caratterizza per il fatto che il lavoratore diventa titolare di un diritto individuale di formazione che è composto da due elementi: il primo attiene al contenuto protettivo del diritto, con la previsione di un contenuto minimo di ore di formazione spettanti (es. 24 ore retribuite nel primo triennio; cfr. art. 7); il secondo riguarda il procedimento partecipativo-sindacale in cui il diritto viene innestato e reso esigibile. Il rinnovo contrattuale del 5 febbraio 2021 è successivamente approdato ad un avanzamento della prospettiva dal diritto alla formazione al diritto all’apprendimento permanente, ponendo particolare enfasi sulla formazione professionale come percorso continuo e progetto condiviso tra aziende e lavoratori con l’obiettivo strategico di recuperare competitività soprattutto per quanto concerne il gap delle competenze digitali.

L’intento delle parti, nel CCNL Metalmeccanici e successivamente in quello del settore Elettrico e in altri che hanno abbracciato la stessa logica di condivisione, è quello di supportare le aziende ad organizzare la formazione rendendo il processo formativo più flessibile e conveniente, in un contesto “dinamico” che parte dalle priorità individuate nel confronto tra aziende e associazioni sindacali e viene via via incrementato nel tempo. Si tratta, quindi, di una formazione orientata a soddisfare esigenze comuni di aziende e lavoratori in un’ottica condivisa, funzionale – per il lavoratore – a riempire un gap di competenze e – per l’azienda – ad aumentare la propria competitività sul mercato aziendale. Servono perciò piani formativi elaborati sulla base dell’analisi preliminare dei fabbisogni formativi e redatti a valle dell’elaborazione del bilancio delle competenze dei singoli lavoratori. In questo quadro, la formazione, le competenze e la professionalità risultano tra loro collegate nell’ambito di un quadro operativo che ambisce a misurare e sviluppare il valore e l’apporto che il singolo fornisce all’organizzazione produttiva.

La formazione continua, per essere realmente efficace, deve essere fondata però su alcuni principi fondamentali:

Individualizzazione: i percorsi formativi devono essere personalizzati e modulari, adattati alle esigenze individuali e agli obiettivi professionali di ciascun lavoratore, ma anche alle esigenze delle imprese e del mercato;

Continuità: la formazione continua deve essere un processo continuo e duraturo nel tempo, che va integrato con le attività lavorative e le innovazioni tecnologiche;

Partecipazione: la formazione continua deve essere frutto di una partecipazione attiva sia dei lavoratori che delle imprese, tanto in termini di scelta del catalogo formativo quanto in relazione alle concrete modalità di attuazione;

Qualità: i percorsi formativi devono essere di elevata qualità e rispondere a standard definiti, anche attraverso un utilizzo sempre più diffuso delle tecnologie digitali per erogare formazione a distanza e blended learning e procedimenti certificativi standardizzati.

Competenze trasversali: oltre alle competenze tecniche, deve essere dato spazio anche allo sviluppo di competenze trasversali come la creatività, la capacità di problem solving e il team building, per consolidare soft skills e senso di appartenenza.

Quali ostacoli trovano le micro-imprese nella realizzazione di interventi di qualificazione e riqualificazione delle competenze

In generale la formazione continua in Italia deve affrontare ancora alcune importanti sfide come le disparità territoriali, poiché le opportunità di formazione continua sono distribuite in modo non omogeneo sul territorio nazionale, la scarsa partecipazione dei lavoratori ai percorsi formativi, soprattutto nelle piccole e medie imprese, e la mancanza di risorse destinate alla formazione continua, spesso insufficienti.

Tali ostacoli, già significativi, assumono ancora più rilievo per le micro-imprese. Le micro-imprese infatti, pur rappresentando il tessuto produttivo di gran parte dei sistemi economici, soprattutto il nostro, si trovano spesso a fronteggiare ostacoli operativi che limitano la loro capacità di investire nella formazione continua dei propri dipendenti, ostacoli in cui si intrecciano aspetti di natura economica, organizzativa e normativa.

Con riferimento alla prima problematica, di tipo economico, assumono rilievo, da un lato, la riduzione dei margini di profitto – le micro-imprese, caratterizzate da strutture organizzative semplici e da risorse limitate, dispongono spesso di margini di profitto ridotti, che lasciano poco spazio a investimenti in formazione – e, sotto altro profilo, assume rilievo la difficoltà di accesso al credito, posto che proprio le micro-imprese incontrano maggiori difficoltà rispetto ai grandi players nazionali nell’accesso al credito, subendo così limiti significativi alla loro capacità di finanziare progetti formativi. Dal punto di vista organizzativo pesano, per le micro-imprese, gli aspetti collegati alle tempistiche della formazione: si tratta di realtà aziendali spesso sovraccariche di attività operative, con limitata disponibilità di tempi e con poche risorse umane da dedicare all’organizzazione e alla gestione di attività formative. L’ulteriore difficoltà può essere rilevata nella stessa individuazione dei fabbisogni formativi poiché le piccole dimensioni di tali imprese possono rendere più complesso identificare i bisogni formativi specifici dei dipendenti e allineare l’offerta formativa alle esigenze aziendali. In più, incide sulla tematica anche la scarsa cultura della formazione, in alcune realtà imprenditoriali la formazione continua non è percepita come un investimento strategico, ma piuttosto come un costo aggiuntivo.

A ciò si aggiunga che la normativa in materia di formazione continua è spesso frammentata e complessa, rendendo difficile per le piccole imprese orientarsi tra le diverse opportunità e adempiere agli obblighi di legge, anche considerando che le procedure burocratiche legate all’accesso ai finanziamenti pubblici per la formazione possono essere lunghe e onerose, scoraggiando le micro-imprese finanche a presentare domanda.

In tale scenario il ruolo dei Fondi Interprofessionali è strategico perché grazie ad essi, penso ad esempio a Fondoprofessioni, gli Studi professionali e le Aziende, anche di piccole dimensioni, aderendo gratuitamente al fondo, possono ottenere agevolmente il finanziamento della formazione del proprio personale. Attraverso gli Avvisi pubblici, i Fondi finanziano la formazione che effettivamente occorre per accrescere la professionalità dei dipendenti e la competitività delle aziende, nella consapevolezza dei benefici che la formazione continua può avere anche, se non soprattutto, per le micro-imprese.

Mi riferisco a effetti quali: a) l’aumento della produttività, posto che la formazione consente ai dipendenti di acquisire nuove competenze e di migliorare la propria efficienza, aumentando così la produttività complessiva dell’impresa; b) il miglioramento della qualità dei prodotti e dei servizi, perseguibile attraverso l’aggiornamento delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali dei dipendenti; c) l’innovazione, perché la formazione stimola la creatività e il cambiamento, favorendo lo sviluppo di nuovi prodotti, servizi e processi.

Dal punto di vista organizzativo, poi, la formazione può valere come tecnica di retention e riduzione del turnover perché le ricerche attestano, unanimemente, che la formazione dei lavoratori incide sulla loro soddisfazione professionale e sul clima organizzativo aziendale, favorendo la collaborazione e la motivazione dei dipendenti.

Tuttavia, nonostante i numerosi benefici, molte micro-imprese incontrano ancora difficoltà nell’investire nella (e sulla) formazione continua. Per superare questi ostacoli e massimizzare i benefici della formazione continua, le micro-imprese, proprio attraverso i Fondi Interprofessionali, possono pianificare attentamente gli interventi formativi, definendo gli obiettivi, i contenuti e le modalità di erogazione e utilizzare strumenti di finanziamento pubblico e privato che possono sostenerle negli investimenti.

Alla base di ogni azione formativa è fondamentale favorire la “cultura della formazione” perché è importante creare un ambiente lavorativo in cui la formazione sia valorizzata e considerata un’opportunità di crescita.

Ogni intervento sulla formazione continua va agito nell’ottica di valorizzare il capitale professionale che riguarda non più solo il lavoratore e il datore di lavoro, ma l’intera collettività, perché la crescita professionale e l’aggiornamento delle competenze si pongono come indispensabile bene comune di garanzia occupazionale.

Professoressa Angelini, come si potrebbe intervenire a sostegno della formazione continua nelle micro-imprese? 

Spesso gli ostacoli che impediscono la partecipazione delle micro-imprese ad attività di formazione continua sono di natura culturale ed economica. In merito a quest’ultima, si ribadisce l’importanza di poter accedere ai Fondi interprofessionali. Per quel che riguarda il primo aspetto, sarebbe opportuno favorire un cambiamento culturale che porti a concepire la formazione come uno strumento di innovazione, di crescita costante, di investimento sulle persone da parte dell’impresa, e su sé stessi da parte dei lavoratori.

A ciò si aggiunga anche che nelle realtà in cui i flussi lavorativi e operativi sono distribuiti tra un numero contenuto di lavoratori, come accade nelle micro-imprese, spesso subentrano anche problematiche di tipo organizzativo.

Accanto a possibili campagne di sensibilizzazione che promuovano i benefici della formazione continua, il primo e più ovvio suggerimento per far fronte a problematiche di natura organizzativa è quello di ricorrere alla formazione erogata su piattaforme e-learning. Dalla pandemia in poi, c’è stato un proliferare di strumentazioni tecnologiche sempre più raffinate e user-friendly, studiate cioè con l’intento di favorire la partecipazione di un pubblico il più possibile ampio ad attività in rete di varia natura. Numerose sono le tipologie di attività formative erogabili in rete, con un grado di interattività variabile e fruibili in modalità sincrona o asincrona.

Ritengo, tuttavia, che la scelta di partecipare ad attività formative (in presenza o da remoto) debba essere condivisa tra il datore di lavoro e il lavoratore, in un’ottica di crescita non solo collettiva, aziendale, ma anche individuale. In questo senso, avvalersi di una analisi dei fabbisogni o di strumenti come il bilancio delle competenze è un primo passo verso l’individuazione e la definizione di percorsi formativi ad hoc, progettati sulle reali esigenze dell’impresa e del lavoratore. È infatti importante che lavoratore e datore di lavoro percepiscano l’utilità della formazione, il ritorno, per entrambi, a breve, medio e lungo termine.

Misure specifiche, anche economiche, volte a favorire collaborazioni con Università, con centri di ricerca o con enti di formazione potrebbero incoraggiare l’accesso delle microimprese a percorsi di formazione. Le università, ad esempio, sono perfettamente in grado di offrire servizi quali, appunto, l’analisi dei fabbisogni e il bilancio delle competenze, e di progettare percorsi di formazione che siano mirati a soddisfare le esigenze emerse, anche individualizzandoli. Più in generale, ovunque c’è ricerca, c’è sperimentazione, c’è attuazione di pratiche innovative. Sollecitare le microimprese a favorire attività di peer tutoring o peer learning tra i propri dipendenti è un modo di fare formazione che si discosta dall’idea tradizionale di formazione in un’aula (reale o virtuale) e che produce risultati ad ampio spettro perché abbraccia tanto l’ambito dell’apprendimento di contenuti e tecniche, quanto lo sviluppo di capacità e competenze relazionali e trasversali. Queste attività non devono essere necessariamente circoscritte a un’impresa, ma possono coinvolgere più microimprese, favorendo la costruzione di reti in cui ciascuno possa condividere le proprie conoscenze, competenze ed esperienze, accedere a percorsi formativi condivisi e beneficiare di economie di scala. Ad esempio, l’organizzazione congiunta di laboratori e seminari va in questa direzione, come anche la possibile circolazione di persone: si pensi a lavoratori o imprenditori esperti che trasferiscono il proprio know-how a personale meno esperto. In questo senso, si può agire ad almeno due livelli: quello del lavoratore dipendente, che si avvale della guida di un collega che ha maturato una significativa esperienza in un ambito specifico e la mette a disposizione; ma anche quello del piccolo imprenditore, che guidato da un imprenditore più esperto, da un mentore, può a sua volta “formarsi” alla gestione della propria impresa. Anche il confronto con esperienze di successo può contribuire a favorire l’instaurarsi di una cultura della formazione.

Quale ruolo giocano in questo scenario la progettazione per competenze e la messa in trasparenza degli apprendimenti acquisiti dagli allievi? 

La progettazione per competenze e la messa in trasparenza degli apprendimenti hanno un ruolo fondamentale, come mostrano anche gli sviluppi normativi più recenti (p. es. il DM del 9 luglio 2024 sulla certificazione delle competenze; il DI del 5 gennaio 2021 sull’adozione delle linee guida per l’interoperatività degli enti pubblici titolari del sistema nazionale di certificazione delle competenze).

Quando si progetta per competenze, il focus è sullo sviluppo di abilità e capacità ben definite, coerenti con le attese e le necessità. In questo senso, l’analisi dei fabbisogni cui si accennava prima consente di mettere a confronto le competenze possedute e quelle desiderate e, quindi, di progettare interventi formativi che vadano a colmare la differenza. Si tratta di un punto di particolare rilevanza per le microimprese, che per non perdere competitività nel mercato del lavoro devono essere sempre attente a intercettare i segnali di cambiamento e a reinventarsi. Per esempio, molte microimprese hanno risentito della situazione internazionale che ha comportato la chiusura di mercati che fino a qualche anno fa garantivano flussi di denaro e produzioni sicure, come ad esempio l’alta moda in Russia. Per rimanere nel mercato, le numerose microimprese coinvolte nella catena di produzione di prodotti di nicchia destinati all’alta moda sono state costrette a rivolgersi ad altri mercati, ampliando e modificando la produzione. Questo ha richiesto una rapidità di intervento che può essere garantita solo attraverso una riconversione rapida delle persone, che parta dalla valorizzazione delle competenze possedute e su queste costruisca nuove competenze. È su questo gap che agisce la progettazione per competenze, andando a proporre una formazione mirata e, soprattutto, centrata sul lavoratore, che potrà spendere immediatamente sul lavoro le nuove competenze acquisite, massimizzando così l’efficacia degli investimenti in formazione.

Inoltre, quando si progetta per competenze, gli obiettivi di apprendimento sono chiaramente descritti e misurabili in termini di contenuti e capacità acquisite; questo consente di monitorare il percorso formativo, e di intervenire tempestivamente laddove i risultati intermedi non corrispondano alle attese, modificando e riadattando il percorso.

In generale, in un’ottica di formazione continua, la progettazione per competenze punta in modo specifico sul miglioramento delle persone, stimolando il senso di appartenenza e l’orientamento al risultato.

Effettuata la formazione e acquisite le competenze idonee a rafforzare la competitività e trasformare le transizioni in opportunità per tutti, l’ulteriore campo di azione riguarda i processi di identificazione e documentazione delle competenze acquisite, al fine di garantire una piena portabilità delle competenze acquisite nei mercati transizionali. La messa in trasparenza delle competenze acquisite in seguito alla formazione effettuata e la loro certificazione sono, infatti, indispensabili per dare adeguata evidenza, riconoscibilità e portabilità alla professionalità dei lavoratori, anche in una prospettiva di libera circolazione dei lavoratori in ambito nazionale e sovranazionale.

La messa in trasparenza degli apprendimenti è a sua volta efficace anche in termini di crescita individuale e collettiva. Anche in questo caso, con il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite, l’ambiente di lavoro diventa più motivante e produttivo; tener traccia degli apprendimenti consente alle stesse imprese di avere un quadro chiaro delle competenze disponibili, di utilizzarle al meglio, e di intervenire con proposte formative, se necessario.

Una microimpresa che presti attenzione alla messa in trasparenza degli apprendimenti delle proprie risorse attrae più facilmente potenziali clienti e collaboratori.